5 Aprile 2024

Come regolare la rabbia nei bambini? Dare loro spiegazioni non serve!

La rabbia è un’emozione che spesso ci mette in difficoltà: di fronte ad un bambino arrabbiato non è facile stare calmi e spesso si finisce per perdere il controllo o provare sentimenti di inadeguatezza e impotenza. Eppure la rabbia è un’emozione come le altre e come tale ha diritto di esistere e di manifestarsi in forme che, se dapprima sono solo pulsione, con il tempo possono diventare accettabili e più controllate.
I bambini non hanno bisogno di spiegazioni su come modulare la rabbia, ma hanno bisogno di fare nel corpo esperienze di regolazione emotiva! Esperienze di piacere, trasformazione, relazione, contatto che insegnano ad accogliere sul piano emotivo le difficoltà della vita.
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Una delle più frequenti richieste con cui i genitori si presentano a colloquio per chiedere aiuto per i loro figli è la difficoltà dei bambini a gestire la rabbia.

La rabbia, accanto a gioia, paura, tristezza, disgusto e disprezzo, è una delle emozioni definite primarie, secondo la classificazione di Paul Ekman e, come tutte le emozioni, è generata da uno stimolo (trigger) e ha uno scopo: serve per produrre un’azione, cioè per rispondere alla realtà senza rimanere passivi di fronte ad essa.

Nel caso specifico della rabbia il trigger è la percezione di essere impossibilitati a fare qualcosa che vorremmo fare, quindi il sentire che un ostacolo ci impedisce di agire come vorremmo. A quel punto la risposta emotiva, che è un impulso innato, universale e inconscio (che quindi si genera sempre!) è la rabbia che ha la funzione di attivarci per riuscire a fare effettivamente ciò che vogliamo fare. Tuttavia questo non è sempre possibile: spesso anche di fronte a ciò che riteniamo essere ingiusto o che si frappone tra il nostro desiderio e la sua concreta realizzazione dobbiamo in qualche modo integrare un senso di realtà che richiede di controllare la nostra risposta, aiutati in questo dalla corteccia prefrontale e da quello che è definito il “cervello del cuore”, andando verso azioni sempre più adattive che ci permettano di stare bene anche quando le cose non vanno esattamente come avremmo voluto. Ma che fatica! E quanto tempo ci vuole per arrivare a questa consapevolezza! Infatti questa parte del nostro cervello, quella prefrontale, termina il suo sviluppo a circa 25 anni.

Nei bambini la rabbia è molto più immediata e “visibile”: subisco un torto e lancio un oggetto con violenza; mi rubano un gioco e dò uno spintone; mi dicono di “no” e reagisco urlando e buttandomi a terra… e tanti altri esempi si potrebbero fare. Si tratta di reazioni impulsive e quindi che sfuggono al controllo, ma che in realtà, se vengono guardate in termini evolutivi e adattivi rappresentano un istinto a difendersi e a rispondere ad un torto, reale o percepito come tale, che ci fa sentire che i nostri diritti sono stati in qualche modo violati, che la nostra libertà di espressione è limitata, che la nostra possibilità di provare piacere immediato è differita. Talvolta l’aggressività con cui si esprime la rabbia è dettata anche dal bisogno ancestrale di sentirsi riconosciuti dall’altro e di sentirsi in una situazione di controllo e sicurezza fisica e affettiva.

Per questo è sempre molto importante osservare cosa succede prima dello scoppio di rabbia in modo da poter collocare la risposta impulsiva in un quadro più ampio che sottende un bisogno profondo che va riconosciuto e accolto.

Spesso accade invece che i genitori si sentano disarmati di fronte alla rabbia dei figli e tentino di placarla il prima possibile, a volte dicendo frasi del tipo: “Non arrabbiarti!”, “Fare così non servirà a nulla!” e dimostrando essi stessi di perdere il controllo, arrabbiandosi e facendo al contempo provare al bambino un senso di colpa o di vergogna. Altre volte, pur di non contattare una tale perdita di controllo, così destabilizzante anche per l’adulto, i bambini vengono assecondati immediatamente nelle loro pretese in modo che la situazione rientri al più presto.

In entrambi i casi però il bambino non viene aiutato nella sua maturazione psicologica che prevede che l’emozione non venga repressa, ma accompagnata verso forme di espressione più mature ed adattive: arrabbiarsi è possibile ed è un diritto, ma si può esprimere la propria rabbia senza raggiungere alti livelli di aggressività che comportano il ferire, fisicamente o anche verbalmente, se stessi o gli altri. In questo senso è fondamentale che il bambino sia aiutato dall’adulto a modulare l’espressione della rabbia, cosa che richiede un certo controllo delle proprie emozioni e una certa possibilità di stare di fronte alla rabbia dei propri figli senza troppo farsi turbare.

Noi sappiamo che l’intero sviluppo del bambino è collegato alla relazione emotiva che egli ha con le proprie figure di attaccamento. In particolare, negli ultimi anni, la teoria polivagale di Porges ha fornito un modello molto utile e con risvolti applicativi pratici per aiutarci a considerare gli aspetti di maturazione del sistema nervoso del bambino e la sua possibilità di regolare le proprie emozioni in relazione all’ambiente in cui il bambino cresce, che può rivelarsi di aiuto o di ostacolo a questi passaggi evolutivi. Senza addentrarci troppo nei presupposti scientifici della teoria, ciò che dobbiamo tenere in mente in relazione al tema che stiamo affrontando è che prima dei 18 mesi di vita il bambino non possiede ancora una sufficiente maturazione delle strutture del sistema nervoso che permettono di regolarsi da solo, ciò significa che di fronte ad uno stimolo percepito come una minaccia o un pericolo, il bambino manifesta una risposta innata e impulsiva che è per lui l’unica possibile. Se l’adulto che si prende cura di lui a sua volta comincia a diventare aggressivo, ad urlare, ecc. in un certo senso sarà come dare ragione al bambino rispetto al fatto che c’è un pericolo da cui difendersi. Il bambino percepirà quindi l’ambiente come insicuro e la risposta impulsiva si registrerà profondamente dentro di lui dando luogo a forme più o meno evidenti di disregolazione emotiva. In altre parole il piccolo continuerà a reagire in modo impulsivo e/o aggressivo sentendo che anche l’adulto sta perdendo il controllo e quindi di fatto sentendo che la minaccia è reale. A questo punto non basterà la volontà per modificare la reazione in comportamenti più adeguati, ma sarà necessario un lavoro più profondo di cui parleremo in seguito.

Cosa può fare invece l’adulto di fronte alla rabbia del bambino? Se l’adulto, genitore in primis, si dimostra calmo, non preoccupato e non reattivo, riuscendo a contestualizzare la risposta impulsiva senza condannarla, offrendo la sua presenza rilassata ed empatica, il bambino farà esperienza di un ambiente sicuro in cui tutto va bene e in cui non è necessario reagire. In questo modo, dal diciottesimo mese di vita in poi le strutture nervose cominceranno ad essere mature per attivare una risposta che non è più impulsiva, ma che definiamo “sociale”, cioè appresa dal caregiver. Ad esempio, in una situazione percepita come ingiusta il bambino imparerà a chiedere aiuto cercando il contatto, lo sguardo, la relazione con l’adulto senza passare all’atto aggressivo. A questo punto se l’adulto di riferimento risponde in modo empatico il bambino mette dentro di sé questo tipo di risposta e impara progressivamente che può “cavarsela” e stare sufficientemente a suo agio anche in quelle situazioni difficili.

I bambini non hanno bisogno di spiegazioni su come modulare la rabbia, ma hanno bisogno di fare nel corpo esperienze di regolazione emotiva! Esperienze di piacere, trasformazione, relazione, contatto che insegnano ad accogliere sul piano emotivo le difficoltà della vita. L’adulto che si prende cura deve offrire un ambiente di questo tipo per poter aiutare il bambino a modulare pian piano l’espressione delle sue emozioni, anche di quelle più impetuose e destabilizzanti come la rabbia, lasciando da parte le troppe parole e proponendosi con la propria corporeità accogliente, calda ed empatica. Allora lo sviluppo del bambino procederà lungo traiettorie evolutive armoniche che permettono una crescita in salute.

Viceversa, per coloro che hanno fatto ripetute esperienze di disregolazione sarà necessario, come accennato prima, un lavoro profondo che permetta di “ristrutturare” e accompagnare alla maturazione quella parte del sistema nervoso che ha registrato tali impronte. In questo senso la Pratica Psicomotoria si colloca come un’eccezionale possibilità di aiuto al bambino: lo psicomotricista è formato infatti per accogliere la pulsionalità di ciascuno in modo empatico e per far evolvere l’espressività motoria verso forme più adattive che permettano di stare meglio con se stessi e con gli altri. Nell’aiuto psicomotorio si permette così al bambino di accedere alle proprie risorse e lo si aiuta a mettere dentro di sé nuove esperienze di trasformazione di fronte alla frustrazione.

Martina Agnoli