24 Aprile 2024

Cosa c’è di speciale qui?

Ciò che dicono i bambini della loro esperienza con la Pratica Psicomotoria può aiutare a far intuire agli adulti perché tale attività lasci un segno indelebile nella loro vita e per la loro vita.
Credo che nella sala di PPA di speciale ci sia tanto, ma qualche volta non si riesce a spiegarlo bene come tutte le cose che si capiscono solo quando si vivono.
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Si avvicina la fine del percorso per alcuni gruppi e piccoli gruppi di bambini e quando ne parlo con loro per prepararli a questo momento qualcuno dice: “A me piace tanto venire qui, ci vorrei venire per sempre!”. Allora chiedo: “Cosa c’è di speciale qui?” e si aprono le risposte più disparate, ma alcune vale proprio la pena di segnarsele e di tenerle a mente per non far perdere mai alla sala e alla PPA il suo meraviglioso potenziale, unico nel suo genere.

Qui gioco con voi, le mie idee diventano giochi! È più facile! Fuori non è così. A scuola non giochiamo mai in questo modo e a casa mi annoio, devo solo studiare!

Io poltrisco sul divano”.

Nella sala di PPA c’è di speciale che i bambini incontrano qualcuno che è lì per loro (lo psicomotricista) e con loro (i compagni). Si forma un gruppo, un gruppo speciale perché non è quello della scuola e nemmeno quello dello sport o delle uscite con la famiglia. È un gruppo che in un certo senso condivide dei “segreti” e delle fatiche importanti e soprattutto nei lavori di aiuto non è sempre scontato sentire di farne parte. Un gruppo fa sentire il limite perché non si può fare come se gli altri non ci fossero, ma fa sentire anche che negli altri ci si può ritrovare, cioè si può trovare delle parti di sé, belle e meno belle, buone e meno buone, e questo apre alla distensione e alla trasformazione di molti nodi interni. Infatti “le idee diventano giochi”, tutto il proprio mondo interno può emergere ed essere “giocato”, mettendo in scena quello che Bernard Aucouturier definisce “un falso che è più vero del vero”.  In questi momenti, quando la propria interiorità può uscire senza temere il giudizio e trova ascolto, quando le proprie idee prendono vita in un gioco, cioè quando l’Io diventa protagonista delle proprie azioni, ci si sente sicuri e onnipotenti e si arriva a percepire un senso di esistenza che non sempre si riesce a vivere in altri posti, per esempio dove le proposte sono più strutturate, dove ci sono degli esercizi da eseguire (vedi nello sport) o delle richieste da corrispondere. Tuttavia se i bambini possono arrivare a custodire dentro di loro in modo stabile il ricordo di quel “pieno di piacere” vissuto in sala, potranno ritrovarlo anche in altre situazioni ed esso diventerà come un appiglio a cui “aggrapparsi” e su cui far leva nei momenti più difficili che non li farà mai “cadere nel vuoto”, non li farà mai arrendere.

Questo è un aspetto che tutti i genitori dovrebbero considerare, soprattutto quando si trovano indecisi se far intraprendere ai loro figli un percorso di Pratica Psicomotoria o farli partecipare ad un gruppo sportivo: sono opportunità completamente diverse, con obiettivi specifici, quindi per me non sono l’uno l’alternativa all’altro! Così come non è corretto pensare che la PPA possa andare bene solo fino al tempo della scuola dell’infanzia, nell’attesa di iniziare uno sport, perché per alcuni bambini, accanto allo sport, potrà continuare anche il lavoro in sala che è un aiuto alla maturazione importantissimo e per alcuni imprescindibile che non si può fare in altri luoghi.

L’esperienza che si fa nella sala della PPA passa attraverso il movimento spontaneo del corpo e i bambini sentono che in tale movimento del corpo c’è movimento di pensieri ed emozioni! E quando manca questo movimento altrettanto lo sentono e lo chiamano erroneamente noia. Io penso invece sia “appiattimento” fisico ed emotivo, spesso accompagnato da solitudine, di cui farebbero volentieri e giustamente a meno, mentre della noia hanno bisogno in quanto spazio vuoto in cui far emergere i propri desideri e il proprio immaginario e in cui allenare le proprie  funzioni esecutive (pianificazione, attenzione, memoria di lavoro ecc.) attraverso il gioco libero.

Poi tu ci racconti delle storie che sembra di essere al cinema perché è come se vedessi le immagini che si muovono”.

Ah le storie! Un momento difficilissimo della seduta in cui lo psicomotricista, a partire da ciò che ha osservato nei bambini e che ha risuonato in lui, va a pescare dentro di sé delle immagini che possano servire per far toccare ai bambini dei picchi di emozione e vivere poi la rassicurazione profonda non più nel coinvolgimento corporeo, ma con la parola, una parola che è comunque “vicina” al corpo, che permette al bambino di com-prendere, un capire che “si sente dentro” e che si intende appieno proprio perché riorganizza assetti precedenti. È una parola che riempie gli occhi, li fa spalancare di stupore o tappare per la paura. È una parola che ammutolisce o apre a domande, a intromissioni, ciascuno con ciò che in lui ha prodotto il racconto. È una parola che dà senso al vissuto interno di ciascuno, prendendo progressivamente distanza dall’emozione per non rimanerne intrappolati.

“Se il mostro urla, il bambino ha paura!” 

“I mostri non esistono…”

“Si esistono, ma abitano in un paese lontanissimo”

“No, non esistono più, si sono estinti!”

“Allora sono morti…”

“La mia mamma mi ha detto che i morti hanno il corpo in cimitero e tutto il resto in cielo”

“I miei bisnonni sono tutti in cielo”

Ed è così che raccontando di mostri che urlano capita di arrivare a parlare di morte, ognuno come la sente. Lo psicomotricista è pronto, sa raccogliere i vissuti e restituirli ai bambini in modo da non lasciarli nell’angoscia e loro sanno che lì si può parlare di tutto. Ma non ci si improvvisa narratori!

Alessandro Baricco dice: “Ci sono di mezzo dei desideri e dei dolori…non hai un nome per dirli…allora si usano le storie”.

In ultima analisi credo che nella sala di PPA di speciale ci sia tanto, ma qualche volta non si riesce a spiegarlo bene come tutte le cose che si capiscono solo quando si vivono. I bambini lo sanno, ai genitori è richiesto a volte un atto di fede, perché se in altri contesti le differenze tra il prima e il dopo si apprezzano in modo evidente (ad esempio in piscina, prima non so nuotare e poi imparo), in questi percorsi non sempre è così: la maggior parte delle volte fuori si vede poco, ma lo psicomotricista e il bambino sanno che invece il lavoro fatto è grande e porterà i suoi frutti per l’intera vita.

“Non lo so perché, ma mi piace tanto venire qui!”

Un bambino non dimentica mai come si è sentito!