23 Ottobre 2023

Il ruolo delle aspettative nel definire chi siamo

Avere delle aspettative su come dovrebbe essere un bambino è normale, ma la vera sfida per i genitori (e non solo) è permettere al bambino di poter esprimere davvero la sua identità al di là di credenze e idee limitanti.
“I genitori devono continuare ad avere immagini sul bambino, ma a partire dai dati reali presenti in lui, non basandosi sull’illusione del prima. Solo così il bambino sentirà il piacere di poter essere se stesso!”
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Come dovrebbe essere un bambino? Cosa dovrebbe saper fare? Come dovrebbe comportarsi? Anche se non ci siamo mai soffermati a pensare alle risposte a queste domande, anche se non siamo ancora genitori, comunque dentro di noi, inconsciamente, esiste un’immagine del “bambino ideale” determinata dalla nostra storia e dalla cultura in cui siamo inseriti. Infatti chi ci precede, dai nostri genitori ai nostri nonni, bisnonni ecc. ci trasmette non solo un patrimonio genetico, ma anche un patrimonio di credenze, emozioni, schemi di comportamento e vere e proprie aspettative su come dovrebbe essere un bambino e tale patrimonio è capace di influenzare, ancora più del DNA, chi siamo e le nostre idee sul mondo. Le neuroscienze testimoniano che l’ambiente in cui un essere umano nasce e cresce e con cui è in costante rapporto è fondamentale per determinare la persona che diventerà e per ambiente non intendiamo solo il luogo geografico, ma anche e soprattutto le persone che ci circondano e con cui intratteniamo una relazione.

Quando diventiamo genitori constateremo che c’è sempre una discrepanza, piccola o grande, tra il bambino reale che abbiamo con noi e l’immagine di bambino ideale presente dentro di noi ed è fondamentale, per il sano sviluppo del bambino e per il suo benessere, che le nostre credenze si facciano un po’ da parte per poter accettare il figlio nella sua propria essenza.

Se ciò non accade ci sono almeno due gravi rischi a cui andiamo incontro. Innanzitutto continueremo ad avere delle aspettative eccessive nei confronti del bambino, facendogli sentire di non andare mai bene, di non essere all’altezza, generando in lui una scarsa autostima, un senso di insicurezza, una difficoltà a costruirsi una propria identità che è uno dei compiti di sviluppo più importanti per la persona.

Albert Einstein diceva “Ognuno è un genio, ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la vita a credersi stupido”.

Lo stesso accade per i bambini che sentono di doversi uniformare ad un’idea preconcetta, che sentono di dover essere uguali agli altri, che sentono il peso di dover raggiungere tutti indistintamente e nello stesso momento lo stesso risultato, gli stessi “traguardi” di sviluppo, senza tener conto che ciascuno è diverso, ha delle proprie caratteristiche, una propria storia personale, perfino un’intelligenza che può essere differente. Infatti il modello delle intelligenze multiple presentato da Gardner ci invita a guardare oltre la definizione unica ed “accademica” di intelligenza e a considerare invece un insieme di intelligenze differenti tra loro che potranno essere più o meno spiccate nei diversi individui come l’intelligenza logico-matematica, cinestesica, artistica-spaziale, musicale, linguistica, naturalistica, spirituale che ci rendono individui non solo capaci di saper fare delle cose, ma di saper essere delle persone in grado di guardarsi dentro, da un lato, e di aprirsi alla relazione con gli altri, dall’altro, aspetti fondamentali per la vita e il benessere. Tuttavia, nonostante sia stato ampliamente dimostrato che “un quoziente intellettivo alto non è garanzia di prosperità, prestigio o felicità, spesso la nostra scuola e la nostra cultura si fissano sulle capacità accademiche, ignorando l’intelligenza emotiva – un insieme di tratti che qualcuno potrebbe definire carattere- immensamente importanti ai fini del nostro destino personale” (Goleman, 1996).

Un altro grave rischio legato ad aspettative eccessive è quello di “gettare la spugna” e, in preda alla rassegnazione, non sognare più il bambino, non investire i nostri pensieri, le nostre azioni, le nostre energie in un figlio che non è come pensavamo, quasi come se non ne valesse la pena. Questo rischio è gravissimo perché noi siamo esseri in relazione e per tutta la vita abbiamo bisogno dell’Altro per imparare chi siamo: siamo persone degne di sguardi, di amore, di cure? Ci si può fidare di noi? Siamo capaci? Siamo bisognosi di aiuto? Chi siamo? È nella relazione con l’altro che troviamo risposta a queste domande e naturalmente in primis nella relazione con i nostri genitori. È come l’Altro ti porta dentro di sé che ti fa sentire di esistere, ti fa sentire amato, sicuro, che ti fa sentire chi sei e che ti permette di essere te stesso. E questo deve continuare al di là di ogni aspettativa, altrimenti il bambino privato dello sguardo d’amore “muore”, esattamente come muore se non gli viene dato da mangiare.

I genitori devono continuare ad avere immagini sul bambino, su cosa potrà diventare, ma a partire dai dati reali presenti in lui, non basandosi sull’illusione del prima. Solo così il bambino sentirà il piacere di poter essere se stesso! Il riconoscimento degli altri è la base per conquistare non solo la propria identità, ma anche la stima di sé: il bambino costruisce un’immagine che lo valorizza tramite lo sguardo degli altri e bambini che non si sentono sicuri in questo senso sono bambini che generalmente chiedono la conferma all’adulto per ogni cosa che fanno, che chiedono continuamente di essere guardati e apprezzati.

È fondamentale dunque cambiare l’immagine che avevamo e investire su un’immagine diversa, ma adattata al reale e paradossalmente solo quando compiremo questo passaggio il bambino potrà emergere in tutto il suo potenziale, a volte trattenuto per paura di deludere.

Ma quindi, cosa possiamo fare concretamente?

La prima cosa che un genitore dovrebbe fare per garantire al proprio figlio uno sguardo libero da eccessive aspettative è provare curiosità verso il bambino, cioè non credere di sapere già tutto su di lui, ma lasciarsi stupire!

Erica Francesca Poli, psichiatra e psicoterapeuta, scrive nel suo libro “Le emozioni che curano” che “guardare un figlio come l’infinito ancora da scoprire lo cresce sano e libero, non importa quanti errori siano stati fatti. […] Questo è come intendo l’amore. […] Con un vero Altro, tu scopri il vero Te” proprio a sottolineare l’importanza di uno sguardo puro, capace di meravigliarsi e di accettare che non possiamo sapere cosa ci attende, ma se riusciamo a stare in questa incertezza e a “lasciarci portare” senza la pretesa di dirigere sempre le cose così come pensiamo dovrebbero accadere, ecco che possiamo Amare davvero un bambino e permettergli di essere la persona che è destinato ad essere.

Infatti è altrettanto importante permettere al bambino di esprimere la propria diversità da noi genitori, dovremmo comprendere i suoi tentativi di manifestare le sue preferenze e la sua identità, fin da piccolissimo, dapprima con il corpo, poi via via con i comportamenti o dicendo di no attraverso il linguaggio verbale. La possibilità di differenziarsi dai genitori rappresenta per il figlio un passaggio fondamentale per un sano sviluppo, per poter sentire di essere un soggetto capace di esercitare la sua azione nel mondo e non solo di eseguire dei compiti, passivamente, per sviluppare un senso di autonomia che permetta di non dipendere sempre da qualcuno, ma di essere in grado di cavarsela anche nelle difficoltà senza sentirsi troppo destabilizzati da esse.

Massimo Recalcati, famoso psicoterapeuta, dice: “La vita del figlio ha diritto ad essere difforme, differente dalla vita e dalle aspettative dei genitori. Il vero dono della genitorialità è amare il figlio nella sua differenza. Troppo facile amare il figlio quando corrisponde alle aspettative”. Tutti noi, prima di essere genitori necessariamente siamo stati figli e forse abbiamo ancora un ricordo, una sensazione del peso che le aspettative dei nostri genitori ha prodotto in noi…Essere consapevoli di cosa noi stessi abbiamo vissuto può renderci genitori più consapevoli e attenti.

Infine in alcuni casi, naturalmente, sarà necessario lavorare sui vissuti dei genitori e sulla ferita che un figlio molto diverso da come si aspettavano può generare. Pensiamo ad esempio ai bambini con handicap, patologie, malformazioni ecc. che richiedono uno stravolgimento dell’immagine, del sogno, a favore di una realtà molto diversa, forse meno “perfetta”, ma non per questo non degna del nostro sguardo di amore. Quando un sogno muore certamente ci sono sentimenti di rabbia, frustrazione, lutto, ma in realtà ciò che muore sono le aspettative, non le persone! Allora se ci concediamo di “starci dentro”, di smettere inseguire un’illusione, ecco che viviamo esperienze di “altra” bellezza, che non è forse come pensavamo, ma è autentica! Questo è anche il motivo per cui ad esempio spesso si trovano dei genitori che parlano della disabilità o della patologia del figlio come di una benedizione riconoscendola come l’occasione per riconnettersi con quella parte più autentica di se stessi che forse, altrimenti, non si sarebbe ritrovata più.

Cerchiamo dunque di non farci guidare da credenze troppo rigide o aspettative eccessive quando guardiamo i nostri figli. Accettiamoli con amore nella loro unicità, permettiamo loro di essere differenti da noi e dalle nostre idee preconcette. Facciamo sentire che ci saremo comunque, anche quando non raggiungeranno un obiettivo o quando mostreranno la loro vulnerabilità. Guardiamoli con curiosità e continuiamo a sognarli, sempre!

Martina Agnoli